Novembre 21, 2024

Fulvio Collovati, campione del mondo con la Nazionale Italiana, al mondiale di Spagna ‘82 e calciatore per due stagioni della Roma è intervenuto in esclusiva nella trasmissione televisiva Amore Giallorosso su T9 (ch 17).

Nella lunga chiacchierata, sono stati toccati diversi argomenti tra cui, ovviamente quelli legati al periodo romano in cui Fulvio Collovati, ha avuto la fortuna di avere un Presidente come Dino Viola. 

“Ho un ricordo splendido del Presidente Dino Viola, una persona meravigliosa e leale. L’ingegnere, era uno di quei presidenti che il sabato sera quando eravamo in ritiro, aveva piacere a venire a mangiare con la squadra e rinunciava anche a stare con la sua famiglia pur di stare insieme a noi. Quando giocavamo in casa, la domenica mattina partiva con il pullman per arrivare allo stadio e di lui ho un grande ricordo: è sempre stata una persona leale e se ti dava una parola era quella. Oggi purtroppo non è più così, non ci sono queste figure e soprattutto dove ci sono troppi interessi, non sempre la parola data è all’ordine del giorno. Il Presidente Viola invece era così, lui non è mai stato duro ma sempre pacato, sincero: era carismatico nel suo modo di farsi sentire quando le cose non andavano bene”

Fulvio, invece cosa ci dici della proprietà attuale della Roma?

“Io non conosco la proprietà della Roma e quindi da un punto di vista umano non li posso giudicare, però dal punto di vista del carisma e della presenza, posso senza dubbio dire che ad oggi manca una figura che rispecchi la città di Roma.  

Una figura romana e romanista non esiste, non c’è nessuno in cui ci si possa identificare e il calcio, viene fatto anche da queste cose, da piccoli rapporti umani che nella Roma non ci sono. 

Se vogliamo possiamo anche allargare il discorso, perché questa cosa non succede soltanto a Roma, anche nel Milan ad esempio è stato allontanato Paolo Maldini, o altre figure sono state allontanate dall’Inter…  però per rimanere nella Roma ci sono delle figure che io non capisco come non siano considerate. 

Mi riferisco a Daniele De Rossi che è stato esonerato o Francesco Totti che non riesce a trovare un ruolo e farebbe carte false per entrare in società. Forse però, è un nome troppo pesante, che dà fastidio. 

Sinceramente, non riesco a rendermi conto di queste scelte, perché sono convinto che poi il tifoso si identificherebbe subito in queste figure.

La piazza di Roma io la conosco abbastanza bene perché se è vero che ci ho giocato solo due anni, ci ho però vissuto, abitandoci per quattro, cinque anni. 

Il tifoso ha bisogno di identificarsi con la romanità, per cui un giocatore come De Rossi o Bruno Conti potrebbero essere perfetti.

Bruno praticamente è mio fratello ed è alla Roma da sempre, dal oltre quarant’anni, prima ancora di diventare campione del mondo, però viene utilizzato per il settore giovanile, mentre secondo me, ci dovrebbe essere in società e all’interno della prima squadra, un rappresentante di questa romanità.

Io non avrei mai allontanato De Rossi anche perché poi, non mi sembra che le cose siano migliorate… ma questo non è responsabilità di Juric che secondo me non ha colpe. Lui ha fatto quello che un qualsiasi allenatore avrebbe fatto, è stato chiamato da una grande squadra come la Roma e ha accettato giustamente, di venire a fare il suo lavoro. 

Torno a ribadire però, che secondo manca quella figura che faccia da collante tra la società, la squadra e i tifosi”

Hai parlato di mancanza di romanità nell’attuale Roma. Uno che era riuscito a ricreare entusiasmo e aveva creato un’empatia con la piazza era stato Mourinho che non è romanista ma che è riuscito comunque ad entrare nel cuore della gente. 

“Mourinho è unico su quello, ovunque è andato ha sempre rappresentato la doppia immagine. Non solo quella dell’allenatore ma anche di quella figura che rappresenta non solo la squadra ma anche la società. Quando era all’Inter il vero punto di riferimento era lui non la proprietà e anche nella Roma, è riuscito ad attirare su di sè l’attenzione. 

Stessa cosa mi risulta che stia succedendo anche in Turchia perché lui, è un mago della comunicazione e un personaggio unico nel suo genere.

Negli anni precedenti a quando ha allenato queste squadre, non era certamente stato un romanista, o un interista, ma neanche un tifoso del Real Madrid, però quando le ha allenate, ne è sempre diventato protagonista. Questo per un motivo semplice: Mourinho è uno che attira su di sé l’attenzione, è molto bravo come allenatore ma ancor di più come comunicatore”  

Tu sei stato un grandissimo difensore centrale. Noi stiamo ancora aspettando di vedere nella Roma, un calciatore come Hummels che è arrivato dopo anni importanti in Germania. Addirittura ha terminato la scorsa stagione con la finale di Champions che lo introdotto nella lista dei calciatori, candidati per il pallone d’oro. 

“Conosco Hummels per averlo visto nel Borussia, nel Bayern Monaco e nella nazionale tedesca. Secondo me è un grande giocatore, di sicuro affidamento, però non dico altro perché non conosco la realtà settimanale che vive la Roma e se Juric non lo fa giocare, un motivo ci deve essere. 

Forse non è ancora pronto e questo può anche succedere, quando arrivi a 35 anni del resto, devi essere a posto fisicamente. Io ho smesso di giocare a 36 anni perché ancora stavo bene e fisicamente era come se ne avessi 28, però in quei tempi, la carriera di un calciatore, si interrompeva mediamente intorno ai 32 anni. 

Forse quello di Hummels è un problema fisico, non credo sia di esperienza perché è uno che ha giocato in nazionale, conosce il calcio come pochi e sono sicuro che in questa Roma, con questi difensori troverebbe sicuramente posto. 

Lui è una garanzia ma ribadisco, da esterno perché non vivo gli allenamenti, mi viene da pensare che ancora non sia pronto”.

Nella tua lunga carriera hai marcato tanti calciatori importanti, quali sono stati quelli che ti hanno messo maggiormente in difficoltà?

“Io ho iniziato a giocare molto presto e fin da giovanissimo ho avuto il compito di marcare dei grandi giocatori. Ho iniziato a diciotto anni a marcare Gigi Riva, poi Boninsegna, Pruzzo, Altobelli, Paolo Rossi, Giordano… per poi passare a Francis, Careca, Van Basten.

Faccio una riflessione, prima ho nominato tantissimi calciatori italiani che ho marcato, se andiamo a leggere i nomi degli attaccanti nella classifica marcatori di oggi, è difficile che ne troviamo anche solo uno che sia italiano.

C’è Retegui, che però è naturalizzato ma la maggior parte sono stranieri perché oramai abbiamo sviluppato l’esterofilia. 

Purtroppo non abbiamo coltivato a livello giovanile e oggi siamo in difficoltà sia con le punte che con i difensori. 

Siamo messi relativamente bene con i centrocampisti… però resto dell’idea che forse con il settore giovanile bisognerebbe lavorare di più”.

Anche nel ruolo del portiere prima in Italia eravamo eccellenti mentre oggi, quasi tutte le squadre più importanti hanno tra i pali giocatori stranieri.

“Adesso la prima cosa che insegnano al portiere è la costruzione dal basso. Si usa questa terminologia moderna che, per carità, quando commento le partite uso anche io, ma che non condivido. 

È come se cinquant’anni fa, Gaetano Scirea, Franco Baresi o Ruud Krol nella famosa Olanda del ‘74 non costruissero dal basso… io suggerisco ai giovani di andare a vedere le immagini di quell’Olanda ma anche dell’Italia: io avevo 13 anni e guardavo Pierluigi Cera che era un ex centrocampista, adattato a fare il libero ed era uno spettacolo… si “costruiva dal basso” anche prima.

Noi avevamo Agostino Di Bartolomei…

“Non parliamo di Agostino, perché la Roma di Liedholm nell’82 vinse lo scudetto con Vierchowood che chiudeva tutte le toppe e i buchi e Agostino che giocava praticamente da libero. 

E allo mi chiedo, non era calcio moderno quello? Io credo che sia tutta una parabola, si parte ma poi alla fine si ritorna sempre lì. 

Certo quello attuale è un calcio più veloce, più tecnologico ma la tecnica che aveva Agostino è impensabile per qualsiasi attuale calciatore. 

Io ho giocato per quattro anni con Rivera, era uno di quei calciatori che nascevano con la cultura del settore giovanile, della tecnica, che stavano lì un ora a calciare e se dovevano migliorare si miglioravano. La tecnica di base che c’era prima oggi non c’è più”

È una questione secondo te di fisicità? 

“Certamente, anche di fisicità perché se vai a vedere le foto dei nostri tempi e le confronti con quelle di adesso, noi eravamo molto meno muscolosi e meno palestrati perché una volta non era di moda la palestra come invece lo è oggi”

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