Settembre 19, 2024

di Federico Ghezzi

Antonio Cassano, nato il 12 luglio 1982.

È “Il giocatore più forte con cui ho giocato”, ha dichiarato più volte Francesco Totti.

Lui, Antonio, è nato mentre tutta l’Italia festeggiava la vittoria del campionato del mondo, ottenuta il giorno prima, in finale contro la Germania, con il Presidente Pertini in tribuna.

Era esploso a 17 anni, nella squadra della sua città, il Bari. Dopo l’esordio della settimana prima, la maglia da titolare gli fu assegnata da Eugenio Fascetti il 18 dicembre 1999, il Bari ospitava l’Inter di Marcello Lippi.

La luce del predestinato, del talento unico e irripetibile, si accese e all’88’ affascinò tutti gli appassionati. I raggi irradiavano la sequenza live di un gol strepitoso e decisivo, quello della vittoria. Un lancio aveva premiato uno scatto sulla sinistra del ragazzino Antonio, poco oltre la metà campo.

L’azione si sviluppò in un assolo, con stop a seguire di tacco, controllo di testa, dribbling con cambio di direzione per superare due difensori e infine il destro vincente a superare Ferron, subentrato a Peruzzi.

Poche settimane dopo, segnò anche alla Roma, sotto curva Nord all’Olimpico, nei giorni della Befana, era il gol del momentaneo 1-1, poi la Roma vincerà 3-1. Dopo due stagioni nel Bari, che retrocesse l’anno successivo, Antonio Cassano nel 2001 scelse la Roma Campione d’Italia, diciannovenne infatti, voleva giocare con Totti e solo con Totti.

Così la Roma superò la concorrenza della Juventus, regalandosi il talento di Bari Vecchia, a cui donò la maglia giallorossa numero 18.

Quella casacca è quella che ha vestito più volte in carriera, in quattro stagioni e mezza, 161 volte (118 volte il serie A con 39 gol, 16 in coppa Italia con 3 gol, 27 nelle Coppe europee con 10 gol).

Più del Bari (48 presenze in serie A, 6 reti, 2 gare in Coppa Italia), più del Real Madrid (un anno e mezzo, 29 presenze, 4 gol in totale), più del Milan (40 presenze in una stagione e mezza, 8 gol di cui 7 in campionato), dell’Inter (39 partite, 9 gol, nel 2012-2013), del Parma (due anni, 56 partite e 18 gol); più della Sampdoria, la squadra con cui ha giocato il maggior numero di gare in serie A in due riprese (120), l’ultima in cui ha giocato nel 2015-2016 (140 partite totali e 42 gol). Alla Roma, trovò una squadra fortissima e giocatori formidabili in attacco, da Totti a Montella, da Batistuta a Delvecchio.

Avremmo potuto e voluto vederlo giocare di più, forse la Roma avrebbe vinto lo scudetto 2002, nel caso? Periodicamente invece, scompariva dai radar, per castighi a volte pubblici, a volte nascosti, a volte mischiati alle scelte, tecnico-tattiche, di Mister Fabio Capello.

Era nato per essere un naturale protagonista: più importante era la partita e più era a suo agio.

Non c’era stadio che potesse impensierirlo, semmai esaltarlo.

Poteva essere, allora, spontaneità e istinto; burlone, allegro, generoso, simpatico ma anche intemperante, molesto, eccessivo, a volte irrispettoso.

Né bastone, né carota: era solo lui a decidere come e quando il talento o l’eccesso, il trionfo o l’autolesionismo. Così racconta ancora oggi e ci dice che è stata Carolina, la sposa incontrata a Genova, e ora i suoi due bimbi, ad averlo arricchito di maturità e autocontrollo.

Flashback l’11 settembre 2001, l’esordio in Champions subentrando sullo 0-2 contro il Real, e quasi ribaltando la partita, in quell’atmosfera sgomenta dovuta agli attentati negli USA.

Il gol ad Highbury contro l’Arsenal, quel pareggio all’85’ scartando il portiere e appoggiando in rete da campione. Il gol del pareggio nel derby, all’epilogo, con uno stacco aereo e una sospensione degna del miglior Pruzzo.

Le tante combinazioni con Totti, innumerevoli, incantevoli, con la doppietta alla Juventus e il calcio alla bandierina in quell’indimenticabile 4-0 (2003-2004 secondo posto, il suo anno migliore). Il gol a Bergamo, soprattutto, alla penultima del 2004-2005, scongiurando le beghe del groviglio salvezza all’ultima partita di campionato, un gol bellissimo, un diagonale di punta, prendendo il tempo al portiere, che sollievo! Quattro anni e mezzo alla Roma, a cui ora Antonio ripensa con piacere.

Ma non sempre i romanisti, né Antonio (pubblicamente), sanno restituire a quegli anni tutta la loro vera valenza, la reciproca appartenenza, il riconoscimento, nel sostegno appassionato…

Alla Roma, ci ha esaltato, ci ha fatto arrabbiare, ci ha illuso, ci ha sorpreso, ci ha inorgoglito.

Poi si è allontanato, a pochi mesi dalla scadenza del contratto, senza il suo sorriso.

Quel distacco senza sue dichiarazioni è rimasto come un pallonetto mai sceso in porta.

Era arrivata la chiamata del Real Madrid.

Nemmeno con la Camiceta Blanca le buone premesse iniziali ebbero seguito, nonostante avesse ritrovato Don Fabio Capello, l’anno dopo, di cui era stato croce e delizia alla Roma.

Tante squadre, nessuna squadra, un po’ come Roberto Baggio, che aveva pure tutt’altro carattere, diverso temperamento.

Un patrimonio di tutti, nazionale; riassunto in quel cartello, “Metti a Cassano”, che racchiudeva la simpatia e la speranza, per l’inventiva, la spavalderia, il riscatto, la possibilità che il genio prevalga sulla sregolatezza, e il talento spontaneo del gioco di strada possano imporsi a sorpresa, sorpassando metodicità e applicazione, e risorse canoniche.

In nazionale (39 gare, 10 gol) tre fasi finali: l’europeo 2004 col Trap, l’europeo 2008 con Donadoni che lo richiamò dopo il mondiale vinto e l’addio di Francesco Totti, poi ritrovò Prandelli nel bellissimo europeo 2012 (Italia in finale) e nel deludente mondiale 2014 in Brasile.

Saltò i due mondiali del 2006, vinto dagli azzurri, e quello così deludente del 2010 in Sudafrica. Il CT era Marcello Lippi.

Oggi, ripensiamo a quella maglietta giallorossa numero 18, ai suoi duetti col Capitano, a un nastro di ricordi da riavvolgere in positivo per un ragazzo che aveva scelto la Roma…

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