Settembre 19, 2024

di Riccardo Diolaiuti

Francesco Rocca in arte “Kawasaki”, soprannome che era dovuto alla sue proverbiali accelerazioni sulla fascia sinistra, nasce a San Vito Romano il 2 agosto 1954, dove inizia a dare i primi calci al pallone nella parrocchia di don Vito Schiavella, parroco del suo paese.
Rocca, figlio di un idraulico e di una casalinga, passò poi all’Audace Genazzano, percorrendo ogni giorno a piedi la distanza, pari a 6 chilometri, che separava il suo paese da dove si allenava a Genazzano, e successivamente al Bettini Quadraro. Nelle giovanili del Genazzano viene notato da Gaetano Anzalone, futuro presidente della Roma, ma all’epoca responsabile delle giovanili. La Roma, su indicazione di Anzalone, acquista il suo cartellino per la cifra di 4 milioni di lire.
Francesco arriva nella primavera della squadra giallorossa. Ha diciannove anni ed Herrera lo convoca in prima squadra come giovane panchinaro. Del resto è un terzino che piace al “mago”; è veloce ed offensivo, proprio le qualità che Herrera cerca. Così lo butta nella mischia a S. Siro il 25 marzo del 1973 contro il Milan. In quel campionato giocherà ancora due scampoli di partite ma la grande occasione arriverà nella stagione calcistica successiva. Poiché alla Roma è arrivato Nils Liedholm che vuole rivoluzionare la squadra con il gioco a zona, novità calcistica dell’Ajax di Johan Cruijff. Francesco si adatta agli schemi dell’allenatore svedese e la sua velocità è alla base del calcio che piace a Liedholm. Rocca è un giocatore veloce ma sicuramente non potente ed ecco che sotto la guida del “Barone” Francesco, per la prima volta, inizia ad allenarsi con i pesi per potenziare la sua muscolatura e svilupparsi atleticamente. Inoltre Liedholm lo tiene delle intere ore a palleggiare e ad effettuare cross, con questi continui allenamenti Rocca riesce ad affinare le sue capacità tecniche.
Il suo primo campionato da titolare è eccellente; il pubblico romano comincia ad amarlo e conia il soprannome di ”Kawasaki”, come le potenti moto giapponesi in voga in quel periodo. Anche la nazionale di Bernardini si accorge di lui. Il debutto in azzurro avviene in Jugoslavia il 28 settembre 1974, dove l’Italia rinasce dalle ceneri dello sfortunato mondiale tedesco. Bernardini vede in lui il terzino moderno, non semplice marcatore ma protagonista a tutto campo, pronto a fluire sulla fascia. Per Francesco è una soddisfazione incredibile, lui giallorosso in una nazionale che vede solo bianconeri e milanisti.
La sua Roma nel frattempo diventa protagonista e nel campionato 1975/76 giunge terza, mai così bene dai tempi dello scudetto. La difesa è la meno battuta, solo con quindici reti subite. In nazionale è sua la maglia numero tre, gioca insieme o a Gentile o a Tardelli in un Italia di Bernadini ancora sperimentale, ma dove le uniche certezze sono solo Zoff e lui. Arriva anche la soddisfazione della rete in azzurro, nella partita contro la Selezione USA che schiera Pelè e Chinaglia nel torneo del Bicentenario. E’ un’azione tipica di Francesco che ruba la palla a centro campo e fugge sulla fascia travolgendo i difensori americani e poi di forza infilza in rete.
I suoi problemi iniziano il 10 ottobre del 1976, nel corso della gara di campionato Cesena – Roma. Francesco, che ama molto il calcio inglese, è soddisfatto, perché per la prima volta, le mute indossate dalla Roma sono proprio made in England. Dopo tre minuti di gioco, la palla termina oltre la linea dell’out, lui si affretta al recupero, ma da dietro, in scivolata, un avversario lo colpisce all’altezza della parte superiore del polpaccio. Non tanto l’intensità dell’urto, quanto il movimento anomalo fatto dall’articolazione, provocano una flessione ed una estensione quasi simultanee. Il terzino avverte un dolorino, ma non ci fa quasi caso, finisce la gara risultando fra i migliori in campo. La notte successiva, però, non riesce a prendere sonno per il dolore. Il ginocchio si gonfia. Disgraziatamente, il 16 ottobre, è in programma una maledetta gara del girone di qualificazione al mondiale argentino, contro il Lussemburgo. La visita medica conferma che il ragazzo può giocare, resta tre giorni immobile, poi si sottopone ad un provino e scende in campo. In quell’occasione gioca molto male e i giornali sparano a zero su di lui. Dopo due giorni torna al campo di allenamento del Tre Fontane, avverte dolore al ginocchio già prima di entrare in campo, ma dopo venti minuti, quando carica il peso del corpo sulla parte dolorante, i legamenti del ginocchio sinistro cedono.

«Se mi fossi fermato in tempo, – dichiarò Rocca negli anni successivi – non mi sarebbe accaduto quello che mi è successo. Non avrei dovuto dare retta a chi mi disse di andare a giocare in Nazionale in quelle condizioni».

Inizia così una difficile fase di recupero, che lo riporta all’attività nel gennaio del 1977. Ancora alcuni mesi di preparazione e, nell’aprile dello stesso anno, fa nuovamente il suo ritorno in campo contro il Perugia. A luglio, però, mentre è con la squadra nel ritiro di Norcia, il ginocchio torna a gonfiarsi. Il 10 agosto, il 15 settembre e il 29 giugno 1978, affronta tre nuovi interventi chirurgici. Il calvario, lo priva di una convocazione mondiale che, solo pochi mesi prima, appariva assolutamente scontata.
Quando il 22 ottobre 1978, Francesco riesce a riconquistare la maglia di titolare della Roma, si parla di miracolo della volontà. Lui passa il tempo chino sui sacchetti di sabbia per aumentare il tono muscolare.
Il 14 dicembre 1980, si gioca Fiorentina – Roma, con i nostri in piena lotta per il titolo. Liedholm gli dice di tenersi pronto, tocca di nuovo a lui. Per Rocca significa toccare il cielo con un dito, ma il giorno dopo il ginocchio torna a gonfiarsi, è il segno incontrovertibile che è giunta l’ora di dire basta. Il 29 agosto 1981, in una commovente amichevole contro il Porto Alegre, Francesco Rocca, il più grande cursore della storia della Roma, lascia per sempre i terreni di gioco. In un’atmosfera carica di emotività, dopo circa quindici minuti, su speciale autorizzazione della Lega, l’arbitro Ciulli sospende la gara per consentire al presidente Viola di consegnare una medaglia d’oro a Rocca mentre i compagni donano all’indimenticabile amico un Trofeo d’argento recante le loro firme incise e quella di Liedholm. Migliaia di voci rauche invocano il nome di Francesco che non riesce a trattenere le lacrime, come accade a tanti spettatori dell’Olimpico. Rocca saluta con le braccia alzate, la luce dei riflettori rende ancora più pallido il suo volto teso e commosso.
Il calciatore Francesco scompare per sempre, come gli sfortunati eroi delle tragedie greche, inghiottito dai meandri del sottopassaggio dello stadio Olimpico.

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