Novembre 23, 2024

di Federico Ghezzi

Rodrigo Taddei, nato il 6 marzo del 1980 a San Paolo del Brasile.

Era giovedì, e la domenica precedente, la prima Roma di Dino Viola e Nils Liedholm aveva vinto il derby per 2-1 in casa Lazio con un gol di Giovannelli sotto al sette, ai piedi della Curva Sud.

Rodrigo era venuto al mondo a 9.471 chilometri di distanza da Roma, aveva tre giorni e la domenica successiva la Roma battè il Catanzaro 1-0 con gol di Pruzzo.

Fin da allora, quarantuno anni fa, già da poppante all’altro capo del mondo il cucciolo Rodrigo accompagnava sotto i migliori auspici le sorti della squadra giallorossa.

Per rinforzare i segni del destino, quella Roma vinse solo due mesi dopo la Coppa Italia, marcandosi con quel successo il tratto indelebile della svolta al corso della storia giallorossa da parte di Dino Viola.

Nella nuova storia di una Roma ambiziosa, Rodrigo è stato parte importante vestendo la maglia giallorossa sul campo per ben nove stagioni, dal 2005 a 2014.

Positivo, sorridente, forte, Rodrigo ha saputo trasmettere gioia anche con le inconfondibili esultanze dopo i gol, quando faceva pulsare la maglietta con la mano nascosta all’altezza del cuore: un gesto costantemente dedicato al fratello più piccolo Leonardo, perduto, già in Italia nel 2003 in un incidente.

Rodrigo ha saputo regalare a sé stesso e al pubblico tutto il suo impegno, la sua dedizione, la sua voglia di divertire e di vivere la passione per il calcio, trovando nella Roma la sua squadra.

“Mi sento di Roma e sono romanista”, dirà durante l’ultima stagione.

Rodrigo è stato speciale, anche sul campo; è andato oltre i risultati, anche oltre i gol.

Torniamo al 18 ottobre del 2006.

La Roma è di nuovo in Champions League e gioca ad Atene, contro l’Olympiacos, terza partita del girone; è in formazione rimaneggiata, si gioca in una bolgia, siamo 0-0, soffriamo.

Siamo nella ripresa, la Roma è in attacco, sollievo alla difesa e un omaggio alla mentalità offensiva di quegli anni, pur con giovani come Faty in campo.

Rodrigo ha la palla, sulla sinistra, già dentro l’area, pronto a “puntare” il difensore.

Il piede destro di Rodrigo solleva la palla accarezzandola e attraendola con un magnetismo divino e appena sollevata da terra la sposta, la palla, con una magia, da destra a sinistra passando piede e pallone dietro alla gamba in appoggio – la sinistra – e riportando la sfera a terra in posizione di tiro, di nuovo a destra:

un numero mai visto, che ha stregato tutti gli spettatori, noi tifosi, chiunque, come un gol e più di un gol.

Un numero a cui dare un nome, come chiederà agli appassionati pubblicamente l’Uefa solo qualche mese fa.

Rodrigo lo aveva battezzato l’Aurelio, dando merito e proscenio ad Andreazzoli, nello staff tecnico, che lo incoraggiava a ripetere in gara ciò che pochi fortunati vedevano, spesso, in allenamento.

La Roma non poteva non vincere quella partita dopo quel brevetto internazionale, ancora impresso nella nostra memoria: come spesso accade, quei colpi unici, magistrali premiano la squadra e vengono accompagnati dalla pienezza della vittoria.

Il gol di Perrotta nel finale di partita completò, infatti, e sublimò quel gesto che era già sublime: su assist di Leandro Rosi il tap-in rasoterra che volava alto nel cielo di una realtà superiore all’immaginazione resa sbalorditiva da Rodrigo Taddei.

Rodrigo esprimeva l’amore per questo gioco attraverso una tecnica superlativa, sopraffina, però avvolta, quasi mimetizzata in un agonismo e in una corsa continua tanto da essere sottovalutata.

Uno di quei giocatori duttili, universali, dotati appunto di corsa e di tecnica: nella Roma ha fatto anche il centravanti (vittoria in emergenza a Udine per 4-1 nel 2005-2006 seconda di ritorno), ha fatto l’ala, ha fatto la mezz’ala, ha fatto il terzino, ha fatto il regista.

Ha fatto diversi gol, soprattutto nei primi anni (in totale 25 in campionato, 2 in Coppa Italia, 3 nelle coppe europee).

Alcuni, bellissimi, come il primo nella Roma, da ex, in casa contro il Siena, un gran destro da fuori area nell’angolo alto, sotto la Sud.

O come, prima di Natale, nel 2017, quella rovesciata superlativa sempre all’angolo alto contro il Cagliari, dando avvio alle Feste giallorosse.

Alcuni belli e importanti, in partite indimenticabili.

Chiudiamo gli occhi: rivediamo il gol decisivo a Madrid, contro il Real, nel 2008, al Santiago Bernabeu, di testa, sotto l’incrocio dei pali, un gol meraviglioso, negli ottavi di ritorno di Champions League.

L’undicesima vittoria nel derby il 26 febbraio 2006, con Francesco Totti accanto a Bruno Conti a bordo campo dopo il terribile infortunio in Roma-Empoli: è Rodrigo a spuntare sul primo palo e a incrociare di testa, indirizzando la partita verso il record, con un perfetto colpo di testa.

Un altro derby, è il 18 aprile 2010, siamo primi e mancano 5 partite, un punto di vantaggio sull’Inter che vincerà la Champions, la Lazio è in vantaggio e Floccari ha appena sbagliato un rigore a inizio ripresa, rigore parato da Julio Sergio, Totti e De Rossi sono usciti, c’è Rodrigo sotto la Sud, finta…dribbling…atterrato…è rigore, e sarà Vucinic a realizzarlo, come la punizione pochi minuti dopo per una rimonta impensabile a inizio ripresa: una rimonta che Rodrigo aveva avviato!

Poi, il 3 aprile 2007: dal pomeriggio, Roma è congestionata.

Sembra che milioni di persone siano all’Olimpico, per la gara di andata dei quarti di finale della Champions League contro il Manchester United di Alex Ferguson.

È lui, quel giorno, a scatenare un boato fragoroso a fine primo tempo, è lui a segnare l’1-0 al Manchester sotto la Sud, nel primo tempo di una partita fantastica, con 27 tiri in porta, che meritava noi di farci segnare sette gol (e Rodrigo mancherà, quanto mancherà a Old Trafford…).

Rodrigo era il giocatore dei momenti chiave, delle partite importanti, di gol anche bellissimi; la corsa certo, sempre, comunque, su qualsiasi pallone lui dava tutto, e la tecnica.

Ricordo il riscaldamento della squadra, ero occasionalmente in Tevere nelle file in basso, prima della finale di andata in Coppa Italia contro l’Inter nel 2006: a pochi metri, rimasi rapito dai palleggi di Rodrigo, potevo sentire il suo tocco carezzevole, una musica, un’arte.

Quella finale completava la sua prima stagione, quella della rinascita del 2005-2006, dopo la controversa stagione 2004-2005 salvata dal gol di Antonio Cassano a Bergamo alla penultima.

Rodrigo arrivava da Siena, dove era arrivato dal Palmeiras, dove aveva esordito giovanissimo in Brasile.

Al Siena era arrivato in serie B, vincendo il campionato subito per la prima storica promozione in serie A, e dove nei due anni successivi Rodrigo si mette in luce e contribuisce in modo importante alla conferma nella massima serie dei toscani (74 gare in tre anni e 14 gol, di cui 3 in serie B, per Rodrigo a Siena).

Alla Roma Rodrigo arriva nel 2005, in un periodo di virtuoso e necessario contenimento dei costi saggiamente avviato da Rosella Sensi dopo il grande dispendio di risorse promosso dal presidente e papà Franco Sensi per arrivare ai livelli più alti.

Per almeno sei anni Taddei è un meraviglioso titolare di una Roma bellissima, il suo arrivo coincide con l’avvio di un ciclo che avrebbe potuto portare almeno un paio di scudetti, nel 2008 e nel 2010.

Ma non era una coincidenza: due coppe Italia e due finali, una Supercoppa e altre tre finali, cinque secondi posti, due quarti di finale di Champions League e tanti bellissimi ricordi ci dicono che Rodrigo Taddei è stato un protagonista di quegli anni.

In quegli anni quasi sempre è esterno alto nel 4-2-3-1; poi nel 2011 si sacrifica e premia l’ulteriore prova che Luis Enrique inaugura e che Zeman conferma trovandogli il ruolo di esterno basso di difesa.

Rodrigo gioca poco nel 2011-2012 (guarda caso la Roma gioca a Bologna la migliore partita dell’anno e Rodrigo segna un gol bellissimo), pochissimo nel 2012-2013, come se il contratto e l’attaccamento alla Roma fossero per la nuova società americana un ostacolo al rinnovamento della squadra e non un’opportunità.

L’ultima delle sue nove stagioni in giallorosso, nel 2013-2014, bellissima annata con Rudi Garcia in panchina e dieci vittorie nelle prime dieci di campionato, finalmente nel girone di ritorno Taddei viene schierato regista dall’allenatore francese, giocando per la squalifica di De Rossi e per l’infortunio di Strootman, giocando diverse partite per la prima volta in quel ruolo.

Ecco: un incanto. Rodrigo dimostra in quelle gare tutta la sua classe, il suo cuore.

Gioca quelle partite dimostrando, appunto, la maestria nel palleggio, i tempi di gioco, la precisione dei passaggi, la fantasia, il gioco di incontro.

La Roma vince altre nove partite di fila nel girone di ritorno e Rodrigo in quel ruolo partecipa alla giostra, riscoprendosi quello che era stato per tanto tempo agli occhi dei sostenitori giallorossi e segnando anche due reti sotto la Sud:

una all’Atalanta sbloccando il risultato nell’ultima vittoria a oggi contro gli orobici in casa da allora, un’altra al Parma di testa, alla stessa maniera del derby del 2006, di testa, su corner, deviando di testa sull’angolo lontano.

Garcia fa capire in tutti i modi che gradirebbe la sua conferma, che invece, a 34 anni, non arriva, e alla Roma come centrocampista di regia e di esperienza arriva l’esperto Seydou Keita.

Vedendolo regista, a distanza di anni, mi chiedo cosa ci siamo persi, in quegli ultimi anni.

Rodrigo finisce al Perugia, in serie B, dove in due anni giocherà quarantaquattro partite realizzando quattro gol, di cui uno in Coppa Italia.

Oggi, ripensiamo alle sue corse, all’Aurelio, a quella esultanza e alla sua forza d’animo, a quegli scudetti che avrebbe meritato di vincere e di regalarci: tanti auguri di cuore, buon compleanno Rodrigo!

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