Giancarlo De Sisti
di Federico Ghezzi
Oggi, 13 marzo, è il compleanno di Giancarlo De Sisti nato a Roma nel 1943: tanti Auguri, Picchio!
Ogni anno, per Picchio, dovremmo alzarci in piedi e applaudire, unendo alla standing ovation, un sorriso.
Sì, un applauso scrosciante, interminabile dovrebbe essere la colonna sonora dell’affetto e della stima per questo giovane trottolino del Quadraro, arrivato sedicenne alla Roma.
Il trottolino divenuto uomo, Picchio, è stato un campione, di semplicità e di bravura, di serietà e di abilità, sul campo e fuori dal campo.
Sul campo era, sempre, tecnica, intelligenza, geometria, precisione, intuizione, interdizione, lanci, regia, corsa: tutto a beneficio della squadra.
Fuori dal campo, è stato, ed è un esempio di garbo, di stile, di educazione, di umiltà, di lealtà; di simpatia, di bonarietà, di arguzia (per questo, insieme all’applauso il sorriso); anche, di scaltrezza di sagacia.
Hall of Fame classe 2016 della Roma, Picchio è un motivo di orgoglio per tutti i romanisti e in più per i romani, che rappresenta appieno nella loro espressione migliore, sereno, serio, affidabile con quel tocco scanzonato che accompagna il ponentino e arriva ai Castelli, dove vive.
È il prodotto più genuino e spontaneo del vivaio, un gioiellino tornato dopo un esilio di nove anni, esportato per necessità della Roma in un’altra meravigliosa città d’arte schietta e orgogliosa come Firenze, che l’ha apprezzato, svezzato, accolto e amato.
È il campione d’Italia della Viola, è l’azzurro campione d’Europa e vicecampione del mondo a Mexico ’70, quando la staffetta era per Mazzola e Rivera, e non per lui.
È l’ambasciatore scelto dalla Federazione per portare il fair play, l’etica, l’esempio nelle scuole e nel calcio giovanile.
Eccolo Picchio: è la naturalezza, la semplicità, l’affidabilità, è quel rincorrersi continuo di corsa e di tecnica, è saper stare in campo, è l’intelligenza che supera la forza dei muscoli e il vantaggio dei centimetri, è avere rispetto per tutti, è quella regolarità che diventa arte, è classe al servizio dell’impegno.
Picchio è il gentiluomo a contatto con la gente, vale per il rispetto che nasce dall’educazione che ha ricevuto dai propri genitori, mai ostentata e sempre esercitata, esempio trasmesso ai figli e ora ai nipoti, come racconta.
Un uomo squadra, un capitano: sapeva stare in campo.
In una parola: positivo, per sé e per gli altri.
Il Petisso Pesaola lo adorava, lo esaltava nella relazione quotidiana, fino ad affidargli nella bolgia delle partite la licenza di dare indicazioni tattiche.
E così il Barone Liedholm: come Liedholm, De Sisti non sbagliava mai un passaggio, sapeva prima dove direzionare il pallone. Ma lanciava, e sapeva far gol.
Oggi mi alzo in piedi e applaudo, sorrido a Picchio e vorrei dirgli che lo ammiro, che gli sono affezionato.
Sono felice di averlo visto giocare, al mio primo anno di abbonato ragazzino nel suo ultimo anno da giocatore, alla Roma, nel 1978-1979, quando lascia a 36 anni compiuti, dopo aver salvato la Roma con Valcareggi, il suo CT azzurro, direttore tecnico e dopo averla lasciata alla nuova era che inizia proprio allora, con Dino Viola e con Nils Liedholm.
La sua ultima gara in serie A all’Olimpico è Roma-Atalanta 2-2, decisivo per la salvezza, decretata da ottantamila voci, un gol di Pruzzo alla prima annata giallorossa.
Comincia quella nuova Roma che cambia il modo di essere della Roma definitivamente, c’è ancora Picchio a fine stagione, il 23 maggio, sempre all’Olimpico, quando Liedholm che ha appena lasciato il Milan campione d’Italia annuncia dopo un’amichevole con il Manchester City all’Olimpico che la Roma giocherà a zona, cambiando per sempre il calcio italiano.
Quel giorno Adriano Panatta aveva battuto Scanlon agli internazionali di Italia del 1979, quel giorno il Barone auspica un altro anno in giallorosso di De Sisti, che invece decide per il ritiro.
Picchio è in società, come osservatore e frequenta il corso allenatori: anche lui lancia la nuova Roma, purtroppo senza farvi più ritorno.
Picchio era entrato per sempre nella storia della Roma, parte della Roma precedente.
Quella è la Roma dei lampi, delle vittorie indimenticabile inaspettate e gloria di singole giornate, è la Roma tela di Penelope, la Roma delle ambizioni estive e delle delusioni invernali, delle buone stagioni seguite da grandi patemi, dei campioni a fine corsa, di presidenze anche illuminate e mai compiute: in quella Roma De Sisti è una luce sempre accesa.
Il primo ciclo inizia dalle giovanili, dopo i mesi alla Forlivesi, a San Giovanni, dove arriva portato dal papà che era stato calciatore fino in serie C, perché lì avevano le docce e la mamma voleva che non si ammalasse tornando a casa sudato.
La Roma lo nota e lo porta tra i suoi ragazzi, nel 1959, al prezzo di undici palloni e undici divise da calcio.
Picchio incontra tra i suoi maestri Guido Masetti, vince due campionati e due coppe Italia con la Juniores e durante il secondo anno esordisce a Udine, fuori ruolo, sostituendo Orlando all’ala.
La Roma perde 2-1, è il 12 febbraio 1961, l’anno in cui esordisce in Coppa Italia lanciato da Foni e mette il suo nome anche con una presenza tra i vincitori della Coppa delle Fiere: sì, quel Picchietto porta fortuna, la Roma vince la Coppa delle Fiere!
A fine campionato la seconda presenza, quando gioca benissimo, a Firenze, città nel suo destino, e la Roma vince 1-0 con gol di Menichelli.
L’anno dopo De Sisti è in pianta stabile nella rosa della prima squadra, decide Roma-Fiorentina, 1-0 con un suo gol.
In quel tempo Schiaffino, a fine carriera, lo scelse come suo allievo prediletto, se lo coccola e gli rivela tutto il suo sapere. Picchio stava ore ad ascoltarlo e a cercare di mettere in pratica tutti i suoi insegnamenti.
Le presenze crescono, e Giancarlo è nella formazione che vince la prima Coppa Italia nel 1964 con allenatore Juan Carlos Lorenzo.
Dopo la famosa colletta del Sistina, viste le insorte difficoltà societarie con presidente Marini Dettina, che deve lasciare, Picchio viene ceduto per una cifra di 250 milioni.
I giocatori, all’epoca, non devono accettare il trasferimento, sono proprietà dei club.
La sua cessione è un dolore, lo allontana da Roma, il primo anno solo nelle fine settimana, perché è militare alla Cecchignola.
Giancarlo partirà tra le lacrime, lasciando la Roma, la famiglia di origine, la fidanzatina che sarà sua sposa in un felicissimo matrimonio (tre figli, una famiglia meravigliosa e tanti nipotini).
La stampa accompagna la reazione della piazza, il Corriere dello Sport di Ghirelli in testa; la piazza vuole ribellarsi alla perdita del gioiello giallorosso, mentre la Roma perde altri giovani bravi calciatori come Schnellinger, e l’anno dopo Cudicini, in un’atmosfera di cupo ridimensionamento.
L’esilio diventa dorato e dura in tutto nove anni, diventando un idolo della tifoseria Viola e un pilastro della Nazionale guidata da Ferruccio Valcareggi.
Picchio è titolare nella finale ripetuta all’Olimpico nella sua Roma contro la Jugoslavia (2-0), quando ottiene ben trenta biglietti per parenti e amici.
Picchio è nella storia della memorabile partita allo stadio Azteca di Città del Messico nel giugno 1970, quando l’Italia guadagna la finale della Coppa Rimet contro il Brasile dopo un’irripetibile alternanza di gol e di emozioni nella semifinale vinta contro la Germania Ovest 4-3 ai tempi supplementari.
Tra Europeo e Mondiale, lo scudetto alla Fiorentina, con il Petisso Pesaola a esaltarlo;
in Viola anche una Coppa Italia e una Mitropa Cup.
Alla Roma, con Anzalone presidente, è arrivato Liedholm, che lo ha già avuto con la Viola per due anni, dal ’71 al ’73, quando il Barone lancerà Antognoni a soli 18 anni.
De Sisti ha chiesto al presidente Ugolini la cessione, perché non vuole rimanere non essendo riuscito a trovare un feeling con Gigi Radice, nuovo tecnico dei viola.
Appena sa che la Roma è interessata a lui, Picchio dice a Ugolini: c’è solo la Roma, accetti la proposta della Roma e faccia anche un bello sconto!
La Lazio ha appena vinto lo scudetto e Picchio viene a rimettere le cose a posto, come dirà al direttore Anastasi.
Quella Roma vincerà tre derby, quell’anno, ristabilendo le gerarchie, risalendo la classifica con la “ragnatela”, una difesa ferrea, i gol di Prati, le corse di Rocca, le parate di Paolo Conti.
A centrocampo De Sisti e Cordova nascondono la passa agli avversari.
La svolta, all’ottava di andata.
Il primo dicembre del 1974 Picchio segna il gol dell’anno, quello decisivo per la squadra e tuttora vivo nei ricordi di chi già era giallorosso.
È un destro da fuori area, un diagonale basso all’angolino rasoterra, di esterno, un tiro fantastico sotto la curva. Sud, a far vincere il derby e a ribaltare la stagione, conclusa al terzo posto.
Un elmo da antico romano viene consegnato a Giancarlo a ricordo di quella prodezza.
Negli anni successivi la Roma non mantiene quel livello, anche per i gravissimi infortuni di Rocca, Peccenini, Loris Boni.
Anzalone cerca di rinnovare la rosa, Picchio fa da chioccia, Liedholm rimane fino al 1977 e compie un vero miracolo arrivando all’ottavo posto, valorizzando Bruno Conti e Agostino Di Bartolomei.
Nell’ultima sofferta stagione, cominciata con Giagnoni allenatore, ai miei occhi di giovanissimo tifoso quattordicenne le difficoltà della Roma si mescolavano all’ebbrezza dei viaggi in autobus verso lo stadio.
De Sisti era la certezza, la rassicurazione, per me piccolo tifoso spesso disorientato non solo dalle grandi del Nord ma anche dalla sfrontatezza di squadre come il Catanzaro (ah, Palanca), l’Avellino, il Perugia.
Quella Roma giocava in arancione, in rosso, poi con quella maglia particolarissima inaugurata il 17 dicembre quando d’improvviso si battè la Juventus 1-0 con gol di Agostino sotto ai miei occhi (e poi una difesa nell’area di rigore per tutto il secondo tempo): c’era sciopero dei mezzi e tornai a casa, a San Giovanni, a piedi dallo stadio.
De Sisti, non più sorretto dal vigore dei vent’anni, ricordo, era abilissimo: non perdeva mai la palla e quando un qualche antagonista più alto più giovane più muscoloso si avvicinava troppo per levargliela riusciva sempre, ma veramente: sempre, a farsi fare fallo.
Picchio lascia, da protagonista, da titolare, lo stesso anno di Rivera, suo coetaneo.
Lasciava un combattente con il sorriso, mai espulso in quasi 500 partite in serie A, e altre centinaia tra coppe e nazionale.
Sempre titolare, per quindici anni, fatta eccezione qualche partita nel 1973-74 alla Fiorentina, De Sisti comincia la carriera da allenatore.
Nel campionato 1980-81, la Fiorentina perde 4 partite e Carosi viene allontanato. La Fiorentina dà la panchina all’idolo fresco di patentino, e dopo la sconfitta con la Juventus, De Sisti trasforma la squadra che rimane imbattuta per 14 giornate, arrivando infine quinta, fino alla gara di ritorno con la Juventus.
Purtroppo, la Fiorentina pareggiò all’Olimpico nel finale con gol di Daniel Bertoni, e la Roma, che era prima, venne raggiunta da Juventus e Napoli in testa alla classifica a cinque giornate dalla fine.
Era l’anno del gol di Turone, la Juventus salvata dall’arbitro Bergamo e dal suo assistente, vincerà a Napoli con gol di Verza gelando l’Olimpico che seguiva a distanza mentre la Roma batteva la Pistoiese, presentandosi con poche speranze all’ultimo turno ad Avellino, un punto in meno della Juventus che aveva la Fiorentina in casa al comunale in calendario.
La Roma segna ad Avellino, segna il divin Falcao. Ma è raggiunta in un clima infernale, con l’Avellino ancora non salvo, e aspetta una buona nuova da Torino.
Per tutta la settimana Roma ha chiesto a Picchio l’impresa: la Fiorentina si batte con vigore, ma perde di misura scontando anche alcune decisioni dubbie da moviola (ah, quanti episodi dubbi quell’anno).
De Sisti sfiora lo scudetto l’anno dopo, arrivando punto a punto con la Juventus, che segna con Brady un rigore decisivo a Catanzaro; il Cagliari di Carosi blocca la Fiorentina, a cui viene annullata una rete.
La Fiorentina è nelle zone alte della classifica, in quegli anni. Purtroppo, Giancarlo De Sisti viene fermato per un problema alla testa che richiedeva sei mesi di convalescenza nell’estate del 1984, e dopo un affrettato rientro è costretto a lasciare la panchina, e proprio a Ferruccio Valcareggi.
Si chiudono anni in cui la Fiorentina, con De Sisti allenatore, è stata protagonista, e sempre tra le prime.
De Sisti è richiamato a Udine, dopo le dimissioni di Vinicio, nel 1985-86, ma l’anno dopo una penalizzazione pesantissima di nove punti è un ostacolo troppo grande per salvarsi, nonostante l’arrivo di Ciccio Graziani.
Picchio entra in federazione, allena le nazionali giovanili; siamo in vista del Mondiale in casa del 1990, di lui si era parlato come possibile CT, si deve accontentare della nazionale Militare.
Sfumata questa prospettiva, accetta l’Ascoli nell’estate del 1991, l’Ascoli in decadenza del presidentissimo Rozzi. Occorrono acquisti per risollevare la squadra nel mercato di riparazione, ma le proposte del presidente sono suggerite da importanti direttori sportivi di altre squadre, e non sono quelle giuste.
Picchio non può acconsentire, l’Ascoli doveva recuperare: De Sisti viene allontanato, e non allenerà più squadre di club.
Giancarlo De Sisti accetta allora incarichi come opinionista, in tv e si diletta come allenatore della nazionale dei parlamentari.
È Cragnotti a chiamarlo al settore giovanile della Lazio: lavoro, finalmente lavoro, solamente lavoro.
Di quell’esperienza a noi romanisti e a Picchio non si appiccica nulla.
Ma anche se fosse, come per Fuffo Bernardini che allenò la Lazio, i gentiluomini campioni della nostra storia e patrimonio di stile e di classe per tutto il calcio italiano rimangono nostri vessilli.
Numeri: nella Roma complessivamente 222 partite in Serie A, con 22 reti; 33 gare in Coppa Italia (3 gol), 25 nelle coppe europee (4 reti), in viola 256 in serie A (28 gol), 46 in Coppa Italia (9 marcature), 41 nelle Coppe europee (4 realizzazioni).
In nazionale maggiore 29 presenze e 4 reti, un titolo Europeo e un secondo posto ai mondiali del 1970.
Oggi, tanti auguri Picchio! Oggi sei nonno ma per noi sei sempre come i tuoi nipotini, quel Picchietto, quel ragazzo incosciente e sensibile, serio e ambizioso, umile e capace che vinse due campionati e due coppe Italia nella Juniores della Roma, passato accanto a Rivera, Pelè, Schiaffino, Manfredini e Ghiggia con la semplicità e l’umiltà di un gentiluomo , un fuoriclasse di serietà, stile e valori, che merita oggi un sorriso di pura gioia giallorossa e una grande standing ovation!