Aprile 13, 2025

Stefano Okaka: Ranieri ama la Roma, c’è bisogno di chi come lui, si prende cura della causa romanista

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Stefano Okaka, ex calciatore della Roma, è intervenuto in esclusiva nella trasmissione Amore Giallorosso su T9 (ch.17).

Stefano, arrivati a questo punto della stagione, credi che per la Roma sia più pesante affrontare il prossimo derby oppure la cavalcata finale? 

“A dire il vero, credo che sia stata più pesante la cavalcata iniziale e non parlo solo per la classifica che si era fatta difficile ma anche perchè conosco Roma e so quanto determinate situzioni, in città siano difficili da affrontare. Fortunatamente dopo alcuni errori, si è fatta la scelta giusta e la panchina è stata affidata alla persona  che ci ha messo il cuore. In una città come Roma serve questo, non bisogna pensare di gestire la società come un’azienda; devi avere dei punti di riferimento e se questi sono romani ancora meglio. Fortunatamente adesso le cose stanno andando bene e i risultati di Claudio ranieri sono fantastici. Se la Roma dovesse arrivare in Europa, anche in Europa League, è come se avesse conquistato l’accesso alla Champions perché all’inizio la situazione è stata  veramente complicata”. 

Tu hai avuto il piacere e l’onore di lavorare con mister Ranieri che anche in quella occasione, era arrivato in corsa per sostituire Luciano Spalletti.  

“È vero, io e il mister ci vogliamo bene, per me lui è stato molto importante. È arrivato per sostituire mister Spalletti che negli anni aveva fatto delle cose straordinarie, poi però era finito un ciclo e al suo posto come detto era arrivato mister Ranieri che aveva rimesso le cose a posto. Stiamo parlando di gente che ama la Roma e questa è la cosa più importante, c’è bisogno di chi si prende a cuore la causa romanista per far rendere la società al 100%”.

È rimasto storico quel tuo gol di tacco contro il Siena, negli ultimi minuti di partita, con Daniele De Rossi che ti insegue e ti urla “ma cosa hai fatto?”… 

“Si era una partita importante perché con quella vittoria saremmo andati al secondo posto della classifica. Giocavamo contro il Siena che era ultima ma la partita si era complicata, non riuscivamo a sbloccarla, poi con un pò di fortuna e anche un pò di intuizione mi è riuscito questo gol col grande Daniele che mi rincorreva, eravamo molto amici e sopratutto eravamo due tifosi in campo‼! L’unica persona che non ha visto il gol è stata mia mamma che stava in bagno (risate generali) e quando è tornata ha chiesto cosa fosse successo e le hanno detto – guarda è tuo figlio che ha fatto gol!” 

Deve essere stata una grande soddisfazione per tua mamma, vederti crescere prima nelle giovanili della Roma e poi addirittura scalare i vertici della serie A. 

“La mia è una storia da film. Io parto da Castiglion del Lago, un paesino vicino Perugia, poi vado a Cittadella che è vicino Padova e mentre stavo per andare al Milan, è arrivata la telefonata di Bruno Conti a mio papà. A quel punto, io sono andato a Trigoria, ho visitato il centro sportivo e ho deciso di firtmare con la Roma;  non potevo però rimanere da solo perchè avevo 14 anni e allora Bruno Conti, decise di assumere i miei genitori e farli a lavorare dentro Trigoria, praticamente loro avevano la casa lì dentro. Eravamo tutta la famiglia li dentro, poi io ho vinto lo scudetto con la primavera, sono arrivato in prima squadra mentre mio padre era il responsabile del convitto dove dormivamo e mia mamma puliva delle camere dei ragazzi… la mia è una storia da film e questo è solo l’inizio, è la parte romanista! A Roma ho fatto tutto, ho passato la mia infanzia, la scuola, poi sono cresciuto, ho fatto il settore giovanile, il calcio di serie A. Per me è un capitolo davvero molto importante della mia vita”. 

Stefano che ricordi hai, di quella stagione in primavera dove riuscisti a vincere insieme ovviamente ai tuoi compagni, lo Scudetto? 

“Sono sempre bei ricordi perchè alla fine se parli con un giovane e gli racconti la mia storia, il mio trascorso credo che lo vorrebbero fare tutti. Ho vinto lo Scudetto con la primavera e poi un mese dopo mi sono ritrovato dentro lo spogliatoio accanto a Francesco; poi dopo sono diventato amico fraterno con Daniele e abbiamo iniziato a frequentarci. 

Io stavo sempre con loro, mi avevano preso un pò sotto la loro ala protettiva anche perchè avevo 16 anni ed ero un bambino. C’erano tanti altri campioni come Perrotta, Panucci, Pizarro, Mexes. Avevo stretto un’amicizia particolare con Rosi perchè eravamo sempre stati insieme fin dal settore giovanile e quindi avevamo condiviso tante situzioni”. 

La tua carriera ti ha portato un pò dappertutto, è stata ricca di esperienze e di campionati anche diversi tra di loro. Come la consideri?

“La mia è stata una bellissima carriera durata oltre 20 anni. Ho giocato in Champions League, in Premier League, in Nazionale e ho anche segnato con la maglia azzurra: ho fatto un pò di tutto e sinceramente, non potevo chiedere di più. Poi quando uno parte come ho fatto io, segnando tanti gol, vincendo una campionato giovanile da protagonista, è normale che le aspettative possano essere alte. Ricordo quando si diceva che potevo diventare uno dei più grandi calciatori al mondo ma poi nel calcio, non tutti siamo Totti o Cassano… ognuno ha il suo destino e ognuno ha la sua strada. Il mio obiettivo era quello di dare una vita migliore alla mia famiglia e ci sono riuscito, ho raggiunto quello che mi ero prefissato e ne sono contento”. 

Quando eri all’Anderlecht tra l’altro hai tenuto a battesimo un calciatore che oggi è protagonista nella nostra Roma.

“Si è vero. Io quando ero all’Anderlecht ero il giocatore più forte e un giorno mi arriva la chiamata del direttore sportivo che mi dice -Stefano abbiamo un ragazzo prodigio, parlaci- Quel ragazzo era Svilar. Con lui ho passato un bellissimo anno, per me era come un fratellino più piccolo perchè aveva 14 anni; era un pò spaesato e ho cercato di dargli dei consigli, dei suggerimenti. Poi le strade si sono separate, fino a una sera in cui eravamo entrambi in Spagna, in vacanza. Lui mi ha visto, mi ha inseguito per tutta la sera e dopo che ci siamo salutati mi ha detto: “ Stè voglio dirti solo una cosa. Grazie!”

Ovviamente gli ho detto che non c’era problema perchè quello che io ho fatto per lui, lo avevano fatto anche altri calciatori per me. Gli auguro tutto il bene, perchè è una bravissima persona e un grande talento”.

Hai avuto dei grandi insegnamenti che poi hai riportato nel tuo cammino. 

“Sì ed è una cosa che ritengo normale, sopratutto quando sei così giovane. Io ho avuto la fortuna di ricevere ottimi consigli, me li sono portati dietro e poi ho cercato a mia volta di metterli a disposzione di qualche compagno più giovane, proprio come in questo caso ho fatto con Mile. Gli ho spiegato come vivere uno spogliatoio di adulti e sono felice che questi miei umili suggerimenti, gli siano serviti per crescere e diventare quel grande portiere che oggi dimostra nella Roma”.

Hai ancora rapporti con Bruno Conti? 

“Bruno Conti è una persona unica, è stato la scintilla di tutto. È grazie a lui se oggi sono qui e vivo con la mia famiglia una vita migliore: si è preso in mano tutto, ha portato la mia famiglia dentro Trigoria, ha fatto una cosa unica al mondo e per questo non finirò mai di ringraziarlo. È da un pò che non lo sento, però cercherò di farlo e mandargli i miei più cari auguri”. 

Quanto è difficile per un ragazzo che esce dal settore giovanile fare il salto con il calcio dei grandi? Cosa rende tutto così difficile e perchè, a volte le premesse non si realizzano? 

“In Italia manca la preparazione a livello calcistico, quella che ti fa passare dall’essere bambino all’essere poi aduto. Qui, quando sei un bambino e ti ritengono un fenomeno, pensano che lo sarai automaticamente anche da adulto ma invece non è così perchp quando cresci le strade si complicano. Escono fuori degli ostacoli, delle difficoltà, delle pressioni che alcuni reggono e altri no… ci sono dei cambiamenti a livello fisico e altri a livello mentale. Nel settore giovanile della Roma, sono passati tanti ragazzi bravi ma non tutti poi sono usciti mantenendo le aspettative. A volte, chi fa la carriera più lunga sono quei ragazzi da cui ti aspetti di meno perchè hanno meno pressioni e magari si riescono a gestire meglio. Faccio l’esempio di Alessio Cerci che esce dal settore giovanile e gli mettono addosso la nomina del nuovo Henry e si aspettano che faccia il nuovo Henry della Roma e non capiscono che invece e Alessio Cerci di 17 o 18 anni e tutto diventa più complicato. Alla fine è tutta una questione di cultura e anche in altre squadre, prendiamo l’attuale esempio di Camarda, i ragazzi fanno fatica, perché nel campionato degli adulti hai bisogno anche di altre cose”. 

Quindi secondo te il campionato primavera non è cosi allenante e formativo per affrontare il salto coi grandi? 

“No, per me il campionato Primavera era utile prima: quando giocavo io, perchè trovavi ancora dei ragazzi con qualità come Alessio Cerci, Giovinco, Marchisio e quindi il livello si avvicinava più ad una prima squadra. Adesso secondo me non serve più, io sono più per le seconde squadre perchè credo che ti possano preparare meglio all’essere adulto. Del resto, quando vai a giocare contro una squadra di serie C e hai 16 anni, migliori molto di più perchè affronti delle difficoltà maggiori rispetto a quelle che puoi incontrare in campionati di pari categoria ed età. Il ritmo e l’impatto è diverso e in più squadre come la Roma, non devono mandare a giocare i ragazzi fuori per fare esperienza ma possono mantenerli a Trigoria e continuare a lavorarci” 

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