Settembre 16, 2024

di Federico Ghezzi

Il 21 aprile 1955, a Belo Horizonte, nello stato di Minais Gerais, in Brasile, nasceva Antonio Carlos Cerezo.

Antonio Carlos? Ma…è il nostro Toninho! Ventuno aprile? Ma è il Natale di Roma!

Ecco, già questo, racconta tutto: Toninho è nato accompagnato dalla nascita al destino di rimanere sempre nel cuore di tutti i tifosi della Roma, che ancora oggi, idealmente, lo vestono e lo pensano con la maglia giallorossa.

Una maglia che ha riempito, per soli tre anni, di talento, di impegno, di un sorriso così gioioso e così impreziosito dalla serietà del professionista; l’ha riempita, la maglia, di fantasia e di rispetto, di allegria e abnegazione, di tecnica e di corsa, di sensibilità e generosità.

Unico: dinoccolato e instancabile, potente e leggero, deciso, a volte rapito dal genio dei sognatori, il nostro tappetaro preferito è stato, semplicemente, inimitabile, formidabile giocatore, per tecnica, altruismo, sostanza.

Ripenso: superato indenne il meraviglioso addio al calcio di Bruno Conti del 23 maggio 1991, in quaranta anni di abbonamenti ora sospesi allo stadio i miei occhi si sono stati bagnati di lacrime di gioia e di tristezza per un giocatore solo due volte, l’ultima è stata il 28 maggio 2017, la prima, è stata nel 1986.

La Roma, esplosa in un fantastico girone di ritorno, ha sfiorato lo scudetto, inciampando nel Lecce fanalino di coda.

Da vicecampione d’Italia, a giugno, stava affrontando le fasi a eliminazione diretta conclusive della Coppa Italia, proprio mentre si svolgevano i campionati del mondo in Messico.

Ancelotti, Nela, Tancredi, e tutti i giocatori del mondiale erano in Messico, dove, alla fine, Toninho, reduce da un infortunio, era stato escluso insieme a Dirceu.

Toninho torna a Roma, per gli ultimi giorni del suo contratto in scadenza, dimostrandosi, come sempre, un meraviglioso professionista.

Arriva in tempo per poter prendere parte alla finale di ritorno contro la Sampdoria, che aveva vinto l’andata, in casa, a Marassi, per 2-1.

Si siede in panchina mentre i nostri gioielli della Primavera arricchiscono l’organico e tengono accesa la speranza; anzi, uno di loro, Ciccio Desideri, sposta l’ago della bilancia dalla nostra parte, trasformando il rigore dell’1-0.

Tutto è in bilico, e si arriva alle ultimissime battute.

Toninho, lo avevamo lasciato infortunato tanto che non giocò le battute decisive del campionato, ancora in panchina, si scalda, prende le ultime raccomandazioni da Eriksson, ed entra in campo a un soffio dal novantesimo, mentre si soffre.

È allora che in un’azione di disimpegno la palla infine giunge sulla nostra ala destra, a Stefano Impallomeni, uno dei gioiellini del torneo, che finge di prendere l’interno del campo, poi effettua una giravolta, affonda dall’altra parte e crossa a centro area.

È lì che scende la magia della Roma, la magia di Toninho che irrompe di testa e segna un gol meraviglioso che fa esplodere l’Olimpico! Goool!

Incredibile! Ha segnato Toninho Cerezo! All’ultima partita, lui partito per il ritiro della Selecao per giocare i mondiali.

La Coppa Italia è vinta, no, la Samp non segnerà mai!

Che fuoriclasse Toninho! E che perdita, che perdita dolorosa, inspiegabile per noi tifosi, ci sembrava solo possibile che vi fossero problemi fisici alla base di quella decisione, con le frontiere chiuse (infatti la Roma acquisì Bergreen, che già giocava in Italia, come secondo straniero).

Esultavo, come tutti, in una gioia per la Roma e per la bellezza di questo giocatore e di questo uomo, così solare, aperto, sincero, positivo.

Esultavo, sì, e mi commuovevo, sapendo di non vederlo più con la Roma.

Problemi fisici? Toninho andrà nel 1986 proprio alla Sampdoria, la squadra di un presidente della classe di Mantovani e dell’appena arrivato e vulcanico allenatore Vujadin Boskov, la Samp dei ventiduenni Vialli e Mancini.

Toninho giocherà fino a 37 anni in maglia blucerchiata, con la solita classe, infaticabile, come sempre, offrendo un contributo decisivo alla crescita e all’affermazione del ciclo vincente della Sampdoria di quegli anni, anni in cui gli avversari erano il Milan di Gullit, Van Basten e Rijkaard, il Napoli di Maradona, l’Inter di Matthaus e Trapattoni, tra gli altri.

Con la Sampdoria Toninho vincerà lo scudetto nel 1991, la Coppa delle Coppe nel 1990, la Coppa Italia nel 1988 e nel 1989, la Supercoppa Italiana nel 1991 contro la Roma (1-0, a Genova, gol di Mancini), arrivando a chiudere il ciclo blucerchiato con la finale di Coppa dei Campioni nel 1992, persa a Wembley per 1-0 nei tempi supplementari contro il Barcellona allenato da Crujiff, con gol dell’attuale tecnico blaugrana Ronald Koeman.

Già, la Coppa dei Campioni.

Toninho era arrivato a Roma proprio in vista della Coppa dei Campioni che la Roma era prossima a giocarsi, dopo lo scudetto del 1983.

Lo scudetto era il sugello di una Roma bellissima, innovatrice, incantante, stabilitasi ai quartieri alti del calcio italiano, la Roma di Dino Viola magistralmente inventata dal Barone Nils Liedholm, esaltata dalla regalità di Falcao.

Arrivò, infine, dopo una improvvisa e preoccupante controversia circa i tempi di deposito del contratto faticosamente risolta con la pronuncia del Coni, che decretò il buon esito del ricorso della Roma del Presidente Viola.

Toninho era il segno di una Roma ambiziosa anche a livello europeo, dopo l’ottima cavalcata in Coppa Uefa dell’anno prima, quando aveva eliminato l’Ipswich Town di Brazil e il Colonia di Littbarski e Schumacher, arrendendosi nei quarti di finale al Benfica di Eriksson proprio mentre la conquista dello scudetto richiedeva il massimo impegno.

Toninho, arrivato per rendere ancora più competitiva la Roma, venne a sostituire – gli stranieri consentiti nella rosa erano al massimo due – l’ottimo Herbert Prohaska, non un giocatorino così.

I romanisti erano già alle stelle, ma appena arrivato Cerezo, oltre a Emidio Oddi dal Verona, a Ciccio Graziani dalla Fiorentina, si ritrovarono in un’altra dimensione.

Dopo il ritiro a Brunico, per entrare in clima europeo, la Roma aveva organizzato amichevoli e partecipazioni a tornei internazionali.

La Roma si era presentata anche via televisione (all’epoca erano rare le possibilità di vedere la Roma in diretta tv) nel torneo di Amsterdam.

Beh, Toninho si dimostrò fenomenale. La Roma era reduce da tre sconfitte in Svizzera, con le gambe ancora pesanti e gli esperimenti di Liedholm in pieno svolgimento, contro il Grasshoppers, lo Young Boys, il Servette.

Ma ad Amsterdam, di fronte a cinquantamila spettatori, contro l’Ajax padrone di casa, per la prima volta giocava Toninho, fermo da quattro mesi, in coppia con Falcao.

E la musica cambiò subito, al 39’ è proprio Toninho ad aprire le marcature, smarcando il portiere su assist del divin Falcao.

La Roma vinse 3-1 quella prestigiosa partita dimostrando a tutta l’Europa tutta la classe e la nuova forza della squadra, dovuta all’innesto di Toninho Cerezo.

Peccato, essersi fermati nella finalissima del torneo ai rigori, finale giocata dalla Roma priva di Falcao e con Toninho a corto di preparazione, contro il Feyenoord del nuovo acquisto Cruyff.

Toninho vive poi contro il suo Atletico Mineiro l’esordio amichevole all’Olimpico (2-2), quando il pubblico giallorosso per la prima volta può ammirare i propri beniamini con il tricolore sul petto.

L’esordio ufficiale con la Roma è a Rimini, appunto, nel girone: la Roma vince 3-1, e poi vince ad Arezzo.

Dopo il riposo contro l’Atalanta, Toninho esordisce in gare ufficiali all’Olimpico contro il Padova.

La Roma vince 4-2 in rimonta e Toninho accende gli entusiasmi impreziosendo una prestazione maiuscola con una doppietta, dove il primo gol con un tiro formidabile dalla lunga distanza finito all’incrocio dei pali incanta l’Olimpico!

Qualificazione in Coppa Italia, vittoria contro il Pisa all’Olimpico all’esordio in serie A, poi arriva l’esordio in Coppa dei Campioni.

In casa, contro il Goteborg.

Dopo un primo tempo vibrante chiuso a reti inviolate, nella ripresa la Roma coglie i frutti della pressione e di un gioco arioso, limpido, con la palla mai ferma.

Vincenzi, prima e Bruno Conti, portano la Roma sul 2-0, quando arriva una magia, arriva uno di quei gol che inebria il ricordo, che richiama il pizzicotto per capire ancora oggi se fosse verità o sogno, realtà o immaginazione.

La magia del terzo gol della Roma.

Come azione corale, un gol unico, irripetibile, mosso dalla musica di Liedholm e realizzato dal genio calcistico degli interpreti.

Due su tutti, Falcao e Toninho Cerezo.

Ancora oggi devo andare su Youtube per capire come sia stato possibile.

E’ Bruno Conti, il nostro Marazico, a superare la metà campo, sulla sinistra, e a sviluppare il gioco in diagonale, in avanti (bei tempi…), verso il centro sulla tre quarti, e lì è Toninho a fare la prima finta e a lasciare la palla a Falcao, il quale lascia ancora, e raddoppia la finta, finché, scivolando più avanti, è Vincenzi a raccogliere e a toccare il pallone, girandolo rasoterra a sinistra, mentre Falcao si inserisce.

Falcao si ripete, terza finta, e lascia il pallone scorrere, senza toccarlo, verso il limite dell’area, dove sempre proseguendo la corsa in avanti verso la porta arriva Toninho Cerezo, che controlla il pallone, con il desto, con il sinistro e poi con il desto subito dopo, rapidissimo, segnando rasoterra sotto la Sud, che Toninho raggiunge braccia al cielo, solare, con una cavalcata trionfale, saltando ostacoli e abbracci in scioltezza.

Ero in Sud, verso la Tevere (non c’era ancora il reparto Distinti), e questo è stato uno di quei gol dopo i quali ho avvertito quella sensazione di meraviglia, quel volersi abbracciare tutti, quel cercare l’esultanza appropriata senza mai trovarla, perché quello era stato un gol divino, il 3-0, un’azione fantastica, con tre finte e due soli tocchi prima dell’ingresso in area.

In tutta l’annata Toninho sarà decisivo, in Coppa dei Campioni, dove segnerà ancora alla Dinamo Berlino, con la sua corsa, la sua classe, i suoi continui inserimenti.

In Coppa Italia, con due gol al Milan a San Siro nei Quarti di finale, il gol a Verona da quaranta metri sotto l’incrocio dei pali nella gara di andata (la Roma vincerà la Coppa Italia, una delle quattro vinte da Toninho in Italia).

Quella Roma bellissima si concentra sulla Coppa dei Campioni, e arriva seconda, per un periodo di appannamento invernale, proprio durante la sosta delle coppe europee.

Con l’arrivo della stagione più rigida, dell’inverno, Toninho anche, insieme alla squadra, perde un poco del suo solito smalto. Un po’ di saudade?

La Sud, da subito innamorata del sorriso di Cerezo, gli dedica uno striscione lunghissimo, dalla Tevere fin quasi alla Monte Mario:

“Vainessa Toninho a torcida te da una forca!”

Toninho torna ai suoi livelli, e la Roma inverte la marcia, arrivando seconda in campionato, non riuscendo a battere la Juventus schierata a difesa dello 0-0 con tutti gli effettivi per tutto l’incontro nel match-clou a cinque giornate dalla fine.

Poi arriverà la finale di Coppa dei Campioni, dopo diciassette giorni senza partite, dal 3-2 al Verona del 13 maggio (Toninho in gol) fino a quel fatidico 30 maggio, quando i tifosi si fermarono all’Olimpico per poter comprare il biglietto per la finale contro il Liverpool.

Una finale a cui la Roma arriverà senza Ancelotti, infortunato al ginocchio in dicembre, senza Maldera, squalificato dopo le semifinali, e che si inizierà con un gol rocambolesco dei Reds viziato da un evidente fallo su Tancredi, uscito in presa alta e con le mani già sul pallone.

Finale pareggiata sul campo da un bellissimo gol di Pruzzo su cross di destro di Bruno Conti, giocata in scioltezza dal Liverpool e non al meglio dalla Roma, che perde via via altri pilastri per infortunio: bomber Pruzzo, e poi proprio Toninho Cerezo, per crampi.

Ecco, non possiamo dimostrarlo, ma con tutti questi giocatori in campo, sarebbe andata così, serie di rigori inclusa?

E sarebbe andata come è andata, due anni dopo, Roma-Lecce, con Toninho in campo, anziché infortunato? Se ci fossi stato, racconta Toninho, io sarei andato molte volte in area…

Se ci fosse stato, lo sappiamo noi tifosi come sarebbe andata…

Tre anni alla Roma, quindi, e sei alla Sampdoria, per Toninho, arrivato in Italia a 28 anni, e andato via a 37.

Nella Roma, in tre anni, 104 partite e 25 gol realizzati: 70 partite in serie A, 13 gol, in Coppa Italia 20 presenze e 9 gol, 9 gare in Coppa dei Campioni con due gol, 5 in Coppa delle Coppe con una marcatura.

Nella Sampdoria, 146 partite in serie A con 14 marcature, 41 in Coppa Italia con 7 gol, 27 gare nelle Coppe Europee e 4 gol.

Ma Toninho è stato un campione anche prima e dopo la sua avventura in Italia.

Prima, quando venendo su libero e felice da una famiglia circense cominciò a correre dietro a una palla, giocò per molti anni nella squadra della sua città, l’Atletico Mineiro, dove viene impiegato già giovanissimo per trenta partite nel 1972-73, prima della parentesi di un anno al Nacional (28 gare, due gol) dove vince il campionato Amazonense, e poi ancora per ben nove stagioni (con l’Atletico Mineiro Toninho vincerà ben sette campionati Mineiro in otto stagioni, dal 1976 al 1983).

Dopo, quando gioca nel San Paolo, tra il 1992 e il 1993, con cui vince da protagonista il campionato paulista, la Coppa Libertadores, e poi ben due Coppe Intercontinentali, di cui l’ultima, giocata in squadra con Pendolino Cafu, contro il Milan di Capello, a 38 anni, per 3-2 a Tokio con tanto di gol e assist di Toninho.

Giocherà ancora a lungo Toninho, tornato nel 1995-96 al San Paolo dopo l’anno al Cruzeiro, arrivato all’America di Belo Horizonte, per poi chiudere proprio all’Atletico Mineiro una carriera entusiasmante, meravigliosa, con cinquantasette presenze nella Selecao, con 5 gol segnati, dal 1977 (quando vince la Bola de Houro, titolo assegnato dalla rivista brasiliana Placar al miglior calciatore brasiliano dell’anno) fino al 1985, partecipando ai Mondiali del 1978 in Argentina e del 1982 in Spagna, dove gioca titolare nell’indimenticata bellissima squadra allenata da Telè Santana e battuta dagli azzurri con Bruno Conti protagonista il 5 luglio a Barcellona allo stadio Sarrià per 3-2 con tripletta di Paolo Rossi.

Appesi gli scarpini al chiodo, Toninho Cerezo dimostra il suo amore per il pallone accettando, appena vi siano le condizioni, le occasioni per allenare.

In patria, al Vitoria (1999, poi 2012-2013), e all’Atletico Mineiro (1999, 2005), per un mese solo il Guaranì nel 2006, che lascia volontariamente, dopo una sconfitta, poi allo Sport Club di Recife, nello stato di Pernambuco,

Soprattutto, in Giappone, dove guida i Kashima Antlers, prima dal 2000 al 2005 (vincendo due campionati nel 2000 e nel 2001, nonché la Coppa dell’Imperatore nel 2000 e la Coppa Yamazaki Nabisco, sempre nel 2000 e nel 2002), poi dal 2013, quando vince la coppa Suruga Bank, fino al 2015.

Nel 2007 troviamo Toninho in Arabia Saudita, all’Al-Hilal, e poi all’Al-Shabab, dove vince il campionato, per poi passare all’Al-Ain, che lascia nel 2010 al terzo posto.

Ovunque, ne possiamo star certi, Toninho ha portato il suo sorriso, la sua positività, la sua allegria, la sua serietà, la sua forte personalità.

Nel film su Toninho, più volte in programmazione su Roma TV, “Il Calcio come libertà”, intervengono Bruno Conti, Ubaldo Righetti, Stefano Impallomeni, parlando di Toninho.

L’affetto, la stima, la considerazione per Toninho sono sconfinati, quasi sacrali, per tutti e tre gli ex- compagni, e per tutti e tre allo stesso modo; e così è per noi tifosi, ripagati dall’emozione di Toninho, nel 2016, nel giorno della consegna del riconoscimento Hall of Fame della Roma.

Un’emozione che non finisce mai e che non dipende dalle circostanze, come avvenne quando Toninho tornò con la maglia della Samp all’Olimpico, andando sorridente ed esultante sotto la Sud, acclamato come se vestisse il giallorosso.

Così, fu applaudito quando, vista l’assenza di Pruzzo, andò sul dischetto due volte, a marzo 1986, contro l’Inter, sbagliando due calci di rigore in una stessa partita: partita che la Roma vinse, naturalmente, 3-1, anche grazie alla sua bellissima partita.

Portatore di allegria, e di gioia, un grande uomo, un giocatore immenso e umile. Proprio a Ubaldo Righetti, riconobbe di avergli insegnato a colpire di testa, in allenamento, proprio come fece contro la Samp, in quei cinque minuti della finale di Coppa Italia, nel 1986.

Toninho schiacciava la palla di testa, la colpiva perfettamente, perché da nazionale brasiliano era venuto qui ancora ad imparare, magari dal ventenne Righetti.

Un grande uomo, come abbiamo scoperto dalla lettera a sua figlia Lea T, divenuta donna, modella, protagonista a “Ballando con le stelle”, qualche anno fa.

La lettera di Toninho, mi vengono i brividi, a questa figlia che era e è anche il suo piccolo Leandro, è un insegnamento per tutti i papà del mondo, di libertà e dolcezza, di affetto a prescindere e di sostegno.

Oggi, buon compleanno Toninho! dovunque tu sia, qualunque cosa accada, oggi siamo con te a regalarti una maglia giallorossa per stringerti, riconoscenti, alle nostre emozioni, per ricambiare tutto, brividi, esultanze, magie, allegria, sostanza, umiltà, prodezze, emozioni, sentimenti, abnegazione e quel sorriso che speriamo sempre di avere vicino.

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